"Dammi la mano sinistra e l'altra appoggiala sotto il gomito. Stai dritto e quando lo dico io mi lasci andare. Un, due, tre...stai dritto,
senza paura. È come un giro di valzer, e vai così. Molla!"". No, non è una lezione al corso di ballo. Sono le istruzioni di Simona per il
giro di valzer che le permette di passare dalla carrozzina al letto, con un'ironia che mette a proprio agio anche il più imbranato e
impaurito tra gli amici. Le riesce benissimo, perché ti fa sentire come il cavaliere che ha appena riaccompagnato al tavolo la sua
dama al gran ballo delle debuttanti. Di giri se ne intende Simona, instancabile viaggiatrice che non si ferma nemmeno di
fronte alla malattia che l'ha resa prigioniera del suo corpo, ma non ha avuto la meglio sul suo spirito libero. Le istruzioni mi
arrivavano dopo appena un paio di mesi che l'avevo sentita al telefono per la prima volta. L'avevo scoperta su Facebook e avevo
deciso che avrei voluto intervistarla. In quei giorni stava preparando il suo viaggio per l'India e ho ascoltato la sua voce al telefono.
Mi aveva angosciato e intenerito allo stesso tempo. Non saprei dire quale fosse la sensazione che ha avuto il sopravvento, ma da
quel momento ci siamo sentiti ogni giorno e l'ho incontrata quando è venuta al San Raffaele per il""tagliando"", ma è stato come se ci
fossimo conosciuti da sempre. Non riuscivo a trattenere l'istinto di accarezzarle i capelli, ma avevo paura che fosse scambiato per
pietismo. Poi è partita per l'India e abbiamo continuato a sentirci ogni giorno:"" non va bene così, perché durante i miei viaggi non
telefono a nessuno, nemmeno alla mia famiglia. Nemmeno con i miei fidanzati ho avuto così tante telefonate. Non va bene!"". Ci
siamo rivisti al San Raffaele, questa volta è arrivata per affrontare un nuovo viaggio attraverso una cura sperimentale. Intanto ero
diventato un esperto ballerino: sapevo come raccoglierle i capelli, piegarle le gambe, vestirla e spogliarla. Avevo quasi imparato a non
essere apprensivo, rimanendo impassibile mentre la guardavo combattere con il cucchiaio per mangiare da sola, lasciandole il suo
tempo per truccarsi e non importava nulla se ci voleva tutta la mattinata. Quello che ancora non sapeva è che ero io ad avere
bisogno di lei, di stare a guardarla mentre si metteva il rossetto per essere ancora più bella. E intanto continuava a sorridere."